“La sua vita, dopo la morte, pone davanti a una sfida: non tanto la morte o la risurrezione come idea, il dramma che giustifica i filosofi a credere o a non credere – in fondo, rimane un’idea! -, ma l’amore di Filippo per una Persona risuscitata. Pippo ha conosciuto quello che il Signore aveva detto a Marta: “io sono la Risurrezione e la vita” (Gv 11,25). Senza alcun equivoco sull’ordine: prima la morte, poi la risurrezione, e poi la vita. Prima la morte, con lo stesso destino del seme della terra. Poi la risurrezione, da tutte le nostre tombe e dalle nostre morti. Poi la vita, anzi, la Sua vita: quella di Dio, che entra nelle nostre morti e le risuscita.
Su questa parola d’amore, per aver sperimentato la forza di un amore che rimane fedele sempre, Filippo ha fatto entrare il Signore della vita nella sua morte.
Agli amici Pippo sembra chiedere adesso di vincere la morte non solo nel ricordo di lui, ma tenendosi la mano fra loro. Solo l’amore vince la morte e la distrugge: i gesti del quotidiano amore la umiliano, e la costruzione della pace e della giustizia ne sconfiggono la strategia di distruzione. Per questo, la morte corporale di Filippo non ne è la morte totale e definitiva: di lui rimane, infatti, quel plus di vita che abita già il cuore di chi lo ha amato, dei suoi amici e in quello di Dio”.