“VOLEVO DIRGLIENE QUATTRO…”
Il libro su Filippo Gagliardi, la nostra seconda sentinella in cielo
14 Novembre 2014
di Chiara Facci *
Verona – Ho seguito la vicenda di Filippo dall’inizio, passo a passo, anche se a distanza. Nella seconda metà di agosto del 2013 é arrivata la mail di Francesca, responsabile delle sentinelle di Novara e Verbania, in cui diceva di pregare per lui, ricoverato improvvisamente in oncologia, che di più non si sapeva, che a ottobre sarebbe nato il suo primo bambino…
È iniziata una catena di preghiera: ho girato subito la mail all’equipe del Corso fidanzati, che lui e Anna avevano frequentato qualche anno prima. Poi sono cominciati gli aggiornamenti su facebook, ma soltanto per poche settimane: l’11 settembre Filippo è morto. Ma la storia non è affatto finita!
Da quel momento la sua pagina facebook, quella di don Fabrizio, quella del suo oratorio, si sono trasformate in un lunghissimo necrologio virtuale, che ha permesso anche a noi più lontani di condividere. Ma che cosa? Le domande: perché un così bravo ragazzo di 30 anni, sposato da un anno, con un figlio in arrivo, muore così all’improvviso? I grazie: per come è vissuto, per come ha sofferto, per come è morto. La certezza: Pippo c’è. Più che uno slogan che ritornava in ogni messaggio!
Foto, testimonianze, preghiere, le omelie delle Messe. Ho letto sempre tutto, ho pianto, ho pregato, ho raccontato la sua storia a tanti, l’ho presentata anche durante la formazione di Una luce nella notte. Poi sono uscite delle interviste tv e, finalmente, il libro “Volevo dirgliene quattro…”. Un giorno all’indirizzo delle sentinelle ci ha scritto l’autrice, Ilaria Nava, dicendo che nel libro si parlava varie volte di noi sentinelle come esperienza che ha cambiato la vita di Filippo. Quando sono riuscita ad averlo tra le mani, l’ho iniziato e, notte tempo, l’ho pure finito. Ed è vero, si parla di noi come “l’esperienza che ha cambiato radicalmente il suo modo di vivere la fede” (pag. 38).
Quello che più mi ha colpito è stato il padre che, inizialmente contrario al nostro stile, si è dovuto arrendere difronte alla convinzione del figlio. Tanto da arrivare a dire: “Prima era un bravo ragazzo, che faceva cose anche positive, ma lì ha fatto un salto di qualità. Non solo faceva le cose seriamente come sempre: oserei dire che mi sembrava le facesse con amore” (pag. 40). Il papà, almeno per esperienza personale, non è l’amico o il prete con cui fai grandi discorsi e condividi le tue riflessioni sulla fede, ma è quello che ti vede e ti conosce e sa di più di quello che dici.
Mi ha commosso allo stesso modo in cui mi aveva colpito la scelta dei genitori di Fabrizio, la nostra prima sentinella in cielo (della stessa diocesi…), di incidere sulla sua lapide il nostro logo. Non quello di un’attività o di un gruppo, perché loro hanno riconosciuto che Fabrizio non faceva Una luce nella notte, ma era, è, una sentinella, per sempre!
Ma allora è proprio vero che Una luce nella notte ti cambia la vita!
Funziona e vale la pena ricordarcelo! Filippo e Anna da Verbania erano venuti fino a Verona per conoscerla e come racconta Anna nel libro “questa esperienza ci aveva cambiati entrambi. Per fare Una luce nella notte ti devi mettere un po’ in discussione. Ti chiedi: sono pronto a uscire? a trasmettere la mia fede anche fuori dall’oratorio?” (pag. 39). Durante il Corso Base è l’insegnamento sulla sessualità che segna la differenza nel loro rapporto. Si parla del valore e della bellezza della castità e Filippo profondamente colpito dice: “Anna, se fosse vero che c’è questa bellezza che adesso possiamo ancora cercare e custodire?
Perché non ci proviamo.” Anna ricorda bene quella decisone presa al termine del Corso: “Sarebbe stato forse più facile impostare il rapporto così fin dall’inizio, invece noi sapevamo bene a cosa stavamo rinunciando. Ma eravamo entrambi d’accordo e volevamo provarci. Con la prospettiva di andare più in profondità nel nostro rapporto, imparando a usare in maniera diversa il tempo insieme, dedicandoci di più al dialogo, alla tenerezza, alla condivisione di interessi. Imparando ad amarci senza possedere l’altro. Oggi posso dire che questa scelta si è rivelata importante riguardo a quello che sarebbe successo in seguito, e che in quel momento mai avremmo immaginato” (pagg. 67-68). Quanto è vero che la Chiesa è madre e maestra! Per un ingegnere come lui, l’approccio razionale del Café teologico, per indagare le questioni scottanti della ragione e della fede, lo intriga e in particolare lo affascinano due temi: “Dio? No, grazie. Siamo scienziati” ed “Eros greco e amore cristiano”.
Don Fabrizio racconta che “ci teneva a diffondere l’idea che fede e ragione dovessero stare insieme” (pag. 41). Che bello scoprire che Filippo era così entusiasta dello stile sentinelle da parlarne ai suoi più cari compagni dell’università, tanto da suggerirlo a un suo amico in ricerca, insoddisfatto della parrocchia e dei gruppi che frequentava. “Io non sapevo bene cosa fossero – racconta Paolo – però quella confidenza così personale, su un aspetto tanto intimo, aveva lasciato in me un segno positivo.
È stato uno dei tasselli che mi hanno dato il la per riprendere a cercare un supporto più serio per la mia fede un po’ sbiadita” (pag. 60). É così che Paolo scopre e inizia a frequentare l’Opus Dei. Fantastico! Una sentinella non mira ad aumentare il numero, a portare qualcuno dentro un gruppo, ma aiuta a risvegliare la fede! A me ha fatto un gran bene la storia di Filippo e Anna e per questo ringrazio tanto lei per aver scelto di mettere a disposizione di tutti questo tesoro prezioso.
Mi ha dato fiducia sapere che abbiamo dato una mano, per quel poco che abbiamo fatto, ma donato al cento per cento, a vivere meglio il loro fidanzamento, il loro essere educatori all’oratorio, il loro essere figli e amici, abbiamo dato una mano a dare pienezza alla loro vita di cristiani, fatta anche di sofferenza e di morte. Lo diciamo sempre prima di Una luce notte: vale la pena fare tutto questo fosse anche solo per una persona che entrerà in chiesa e incontrerà Gesù! Vale la pena fare il Corso base, il Café teologico, il Corso prematrimoniale, vale la pena giocarsi la vita al massimo, vale la pena per le persone, fosse anche una sola! Io ho già in mente un po’ di amici ai quali regalerò questo libro per Natale: l’anno scorso era toccato a Chiara Corbella. “Ma che è… la fiera delle disgrazie?!?”…. potrebbe pensare qualcuno, “sempre a parlare di cose tristi voi cristiani!”. Direi proprio il contrario! Come per la storia di Chiara anche qui non c’è disperazione, ma speranza e fiducia in un Dio che ti ama, è la tua forza e toglie ogni paura.
Non c’è la morte, ma una vita pienamente vissuta con intensità, fino alla fine, in ogni suo aspetto. Non c’è la tristezza della solitudine, ma la gioia della condivisione profonda con l’amata, i familiari, gli amici, che se sono veri ci sono anche lì, quando la porta si fa stretta. Allora io lo consiglio a tutti! A chi vive con pesantezza il presente e ha paura del futuro, a chi é giù perché ha perso il lavoro o non riesce a trovarsi il/la moroso/a, a chi il lavoro ce l’ha ma non lo soddisfa (e forse neanche il/la moroso/a), a chi é stressato perché ha troppe cose da fare e non ha tempo per sé, a chi é felice perché tutto gli va bene, a chi non é felice anche se tutto gli va bene… A chi a volte si scoraggia perché pensa che sia troppo dura, che non ne valga la pena. E sono io.
* Responsabile del Centro Internazionale “Fabrizio Sana”